Maria José Ruiz Álvarez

La Dottoressa Maria José Ruiz Álvarez è una delle nostre ricercatrici più note, medico valenziana con le specialità di Medicina del Lavoro, della Famiglia e Microbiologia Clinica, oltre ad aver completato un dottorato e un diploma in Metodologia e Ricerca. Dal 2001 vive a Roma e lavora presso l’Istituto Superiore di Sanità, prima al Centro nazionale di ricerca sull’HIV e dal 2016, fa parte del gruppo di Coordinamento e supporto per la Ricerca sulle questioni Sanitarie, che è nato da una collaborazione tra l’Istituto Superiore di Sanità e la Direzione Generale della Ricerca del Ministero della Salute italiano.

Da quanti anni sei in Italia? Una Valenziana a Roma, come è capitato?

Sono arrivata nel 2001 e mi sono inserita in un gruppo di ricerca italiano che stava iniziando le prime fasi di studio del vaccino contro l’HIV.

L’Italia l’ha trattata bene a livello di riconoscimento? La vita è più facile o più difficile per un ricercatore qui o in Spagna?

I primi tempi sono stati un po’ complicati soprattutto per la lingua ma anche per diverse modalità di lavoro rispetto all’attività ospedaliera che svolgevo a Valencia. Non saprei fare un confronto in quanto, come detto, in Spagna non facevo attività di ricercatore. Credo comunque che in Spagna, all’epoca in cui sono venuta in Italia, ci fossero più risorse per la ricerca nelle strutture pubbliche.

A livello di riconoscimento ho avuto problemi con due specializzazioni che non hanno trovato adeguata equiparazione.

Ultimamente con questa pandemia i ricercatori medici (soprattutto quelli che come lei si dedicano ai vaccini) sono diventati molto importanti e mediatici così come i medici, i virologi, ecc … Sentite che finalmente avete avuto voce?

 Ritiene che questa onnipresenza nel panorama politico e sociale  rimarrà come ora o scomparirà come lo farà sono certa questa pandemia?

Certamente, come anche successo in passato per situazioni simili, la visibilità mediatica di ricercatori, virologi ecc., andrà a contrarsi con la diminuzione del fenomeno pandemico, ma credo che ciò sia positivo in quanto i medici, i ricercatori devono avere un approccio scientifico e non avere la visibilità di star televisive. Un aspetto positivo sicuramente è che questo fenomeno ha fatto incontrare il mondo scientifico con l’opinione pubblica. Ad esempio, la gente parla di mutazioni, di indici di contagio, di immunità di gregge, ecc., termini che fino a pochi mesi fa erano sconosciuti ai più. Spero comunque che, finito il fenomeno pandemico, esponenti del mondo scientifico rimangano punti di riferimento per scelte politiche in materia sanitaria.

 Come ricercatrice, com’è l’equilibrio tra lavoro e vita privata in Italia rispetto alla Spagna in questo momento?

In questo momento, tenuto conto che operiamo in smart working, i confini tra lavoro e vita privata sono meno definiti. È meno definito il momento in cui finisce il lavoro e inizia la vita privata, si è sempre connessi e capita di essere chiamati a partecipare a riunioni in orari inconsueti, rispetto a situazioni ordinarie di lavoro. Penso che lo stesso avvenga in Spagna.

Lei è anche un membro di Asieri, com’è la vostra rete?  Come vi organizzate?  Siete in contatto anche se virtualmente?

Si, rimaniamo in qualche modo in contatto; prima della pandemia ovviamente c’erano più occasioni per incontrarci ma era anche più difficile organizzare gli incontri. Adesso anche nell’ambito dell’associazione è più facile organizzare incontri skype, con tutte le limitazioni degli incontri da remoto. Stiamo ad esempio preparando la Giornata della Donna nella Scienza con il Liceo Cervantes.

A Dicembre ha partecipato in un dibattito on line  promosso dall’Ufficio di Cultura e Scienza dell’Ambasciata di Spagna in Italia. C’erano dei colleghi italiani e spagnoli per parlare del vaccino Covid19. Il dibattito é stato molto interessante anche per gli scambi d’informazioni e pareri tra le due nazioni. Più in la del dibattito, volevo sapere se siete rimasti in contatto tra voi e che ne pensa di questi incontri purtroppo solamente virtuali.

Penso anch’io che il dibattito sia stato molto interessante ma ancora più importante a mio avviso è sfruttare queste occasioni per creare un network per scambiarci informazioni. In parte ciò è avvenuto, ritengo che ripetendo questi eventi i flussi informativi potrebbero consolidarsi.

L’Europa ha avuto molta forza nelle negoziazioni soprattutto del vaccino, lei crede che questa appartenenza all’Europa è stata beneficiosa o per il contrario abbia in un certo modo rallentato i processi?

Ritengo che operare come Europa e non come una moltitudine di nazioni in ordine sparso sia stata garanzia di maggiore forza negoziale e di trattamento sostanzialmente omogeneo per tutti i componenti l’Unione Europea. La speranza è che fenomeni importanti come una pandemia aiutino a fare in modo che finalmente si realizzi un’Europa anche politica e non solo monetaria.

Lei è uno dei nostri “cervelli in fuga”, cosa ci vorrebbe per farla tornare in Spagna?

Certamente un lavoro che rappresenti il riconoscimento delle mie esperienze fatte all’Estero sarebbe uno stimolo per prendere in considerazione il ritorno in Spagna, magari ….a Valencia.

Roma Gennaio 2021. Intervista a cura di  Patricia Pascual Pérez-Zamora, @pato_perezamora.