Luis Llaneza

Barítono, musicologo e ricercatore di musica, il suo repertorio spazia dal lied tedesco alla melodia francese, oratoria, opera, musica antica e da camera con particolare attenzione alla musica spagnola (tanto da camera come l’operetta) e senza trascurare la musica contemporanea.

Apprezziamo il fatto che questo grande cantante sia stato scelto da compositori di diverse nazionalità per eseguire la prima assoluta di alcune delle sue opere.

Raccontaci un po’ della tua infanzia, cosa ha influenzato la tua tendenza musicale?

Sono nato a Turón, nella zona mineraria delle Asturie. Durante l’infanzia la mia famiglia mi ha insegnato indirettamente la musicalità, ascoltando sempre mia madre che cantava con una bella voce e mio padre che con la chitarra accompagnava la sua voce. Gli amici dei miei genitori cantavano quando si riunivano, poiché nelle Asturie c’è una grande tradizione di cori. Il coro minerario di Turón è anche uno dei più importanti delle Asturie, quindi l’atmosfera familiare e locale mi ha circondato di musica. 

 Più tardi mio padre iniziò a portarmi al conservatorio di Oviedo, dove a diciotto anni iniziai a studiare canto con la maestra Celia Álvarez Blanco ed iniziai un’amicizia con la meravigliosa soprano Victoria de los Ángeles che mi incoraggiò ad andare a Barcellona per studiare con Mirian Alió e suo marito, il pianista e compositore Manuel García Morante che sono stati i miei insegnanti, i miei mentori e genitori musicali e che vorrei ringraziare per aver raggiunto il mio posto nella musica.

Il 22 novembre a Roma assisteremo ad un concerto sulle voci dimenticate dell’esilio spagnolo alla Real Academia de España di Roma. 

Perché sei così interessato all’esilio?

L’esilio mi ha sempre interessato molto. In primo luogo perché la zona da dove provengo è un paese asturiano della zona mineraria, dove così tante persone sono state esiliate dopo o durante la guerra civile spagnola, compresi i miei nonni paterni che si sono trasferiti in Belgio. Lo sradicamento prodotto dall’esilio, l’essere lontano dalla tua terra, vivere tra due mondi, in un conflitto, cioè il non essere da nessuna parte perché il luogo che hai lasciato a poco a poco cessa di appartenere a te ma allo stesso tempo non finisci mai di far parte del luogo in cui vivi. Questa idea è sempre stata qualcosa che mi ha disturbato, incitandomi a cercare l’equilibrio di come si può vivere tra due mondi e come questo si può verificare anche nel caso degli artisti. 

Pensi che un esiliato sia influenzato dalla nostalgia?

Credo che sia toccato anche da molte altre cose come la memoria, la speranza di ritorno è commosso dall’emozione della distanza ma al tempo stesso dal ricreare il luogo da cui proviene. In questa maniera se l’esiliato è un’artista, vive non solo della nostalgia del perduto, ma anche del desiderio di far conoscere nel luogo in cui arriva quella piccola parte di ciò che porta con sé, della sua intimità, della sua storia, della sua vita, della sua terra e delle sue origini; si muove naturalmente per nostalgia e con la speranza e il desiderio della memoria, la speranza del ritorno.

Che influenza hanno avuto su di te gli artisti in esilio?

Sono stato molto influenzato dalla voce dell’esilio da parte dei musicisti e degli artisti, dalla voce del pittore e del poeta che vive in esilio, perché penso che si muova in una grande ambivalenza. Da un lato, l’esule ha una visione più reale del suo luogo d’origine perché lo guarda come se stesse osservando un quadro da lontano e vede il tutto, esprimendolo in modo migliore. Ma allo stesso tempo, vive in un’irrealtà, perché la distanza, la lontananza, la nostalgia, la patria perduta, fanno sì che quel luogo che vive solo nella memoria si addolcisca, diventando più bello ed emozionante. Ricordo che mio nonno, quando parlava della nostra città, raccontava di un centro minerario che da lontano aveva dipinto di colori, configurando quel paesaggio dall’interno, dal cuore, diffuminando così la realtà. Era un paesaggio disegnato dall’anima, con una visione amata, immaginata e desiderata che non corrispondeva alla realtà. Nell’arte accade esattamente la stessa cosa, il compositore, pittore, scrittore o poeta, ricrea il luogo dal punto di vista della memoria e dell’amore. 

Perché un concerto sull’esilio?

Quest’anno ricordiamo l’80° anniversario della fine della guerra civile spagnola e l’arrivo di uno dei periodi più bui della Spagna, la dittatura di Franco, che portò con sé la fuga di molti artisti che dovettero continuare la loro vita creativa e intellettuale lontano dalla Spagna. Capisco che è giusto rendere omaggio a queste voci che sono state messe in silenzio in Spagna, ma che fortunatamente hanno continuato a creare un’opera molto importante nei paesi in cui sono state ricevute.

Cosa stai cercando con questo concerto?

Fondamentalmente ho concepito questo concerto come un tributo alle voci dell’esilio. Si tratta di un viaggio attraverso la poesia e la musica di autori esiliati, la cui voce viene messa a tacere in Spagna ma che fortunatamente hanno continuato a creare. I nostri poeti in esilio hanno avuto più fortuna dei nostri compositori: nomi come Alberti, Machado, Cernuda, León Felipe e molti altri non si sono sbiaditi nonostante il loro esilio, rimanendo nella memoria degli spagnoli. Tuttavia non tutti i compositori hanno avuto questa fortuna, e nomi come Rodolfo Halffter, Jaume Pahissa, Gustavo Pitaluga, o Salvador Bacarisse, pur essendo artisti di altissimo livello, sono rimasti nascosti a molti spagnoli pur avendo molta influenza nei paesi ospitanti, come ad esempio è stato Rodolfo Halffter per lo sviluppo della musica messicana.

Cosa evidenzieresti dal programma?

Il programma è un viaggio attraverso la poesia e la musica spagnola dell’esilio, e quello che in linea di principio riaffermo è il recupero di alcuni dei nomi che devono rimanere nella memoria degli spagnoli e degli appassionati di musica, perché il loro livello creativo ed il loro lavoro è di grande importanza e interesse. In tale ambito, vorrei sottolineare che tra i nomi di questi compositori, oggi praticamente dimenticati, ci sono due donne molto interessanti: Maria Rodrigo, la prima a debuttare in Spagna un’opera lirica composta da una donna e che l’esilio ha portato in Colombia e Puerto Rico dove è morta, ed Emiliana Zubeldia, una compositrice che conclude i suoi giorni in Messico nello stato di Sonora. Quindi le donne, che erano state doppiamente emarginate, avevano trovato la loro voce esclusivamente all’estero, e pertanto considero sia giusto il loro attuale riconoscimento. 

Inoltre, tra gli scrittori, porto qui la figura di Maria Lejarraga, morta a Buenos Aires, che è la compositrice o librettista insieme al marito di alcune opere molto interessanti.

C’è anche una sezione dedicata agli interpreti, e per questo motivo ricordo la figura di Miguel De Molina, che ha dovuto lasciare il territorio spagnolo come Pau Casals, che morirono rispettivamente in Argentina e Puerto Rico, o figure di musicisti consacrati che muoiono anche in esilio come Manuel de Falla. 

Un altro aspetto interessante del programma è la presenza di opere di compositori attuali come Miguel Ortega o Manuel Garcia Morante che, utilizzando versi di Luis Cernuda e Federico Garcia Lorca, hanno composto magnifiche opere. Porto anche musica di compositori stranieri come il russo Andrei Baturin, del quale ho avuto la fortuna di presentare la prima assoluta di “Canciones a Guiomar” con versi di Antonio machado nella sala dell’associazione dei compositori russi di Mosca. 

Penso che ci sarà anche una prima assoluta?

Sì, infatti in questo concerto faremo anche la prima mondiale di una canzone chiamata “Prisionero Vagabundo” (prigioniero vagabondo) del giovane compositore Antonio Blanco, che è stato un borsista della Real Academia de España di Roma e che senza dubbio è una delle voci più promettenti nel panorama dei compositori spagnoli. Questo lavoro è un omaggio a queste grandi voci di esilio ed ha avuto la cortesia di dedicarmelo, affidandomi la sua prima mondiale in questo concerto di “Omaggio all’esilio”.

Per concludere, una domanda personale. Quali cose ammiri come musicista e come persona?

Non credo che ci sia una differenza radicale tra me e il musicista. Sono un musicista-persona e una persona-musicista. In questo dualismo, ammiro la capacità di emozionare, di amare e di dare bellezza e felicità agli altri. La capacità di un musicista è di trasmettere emozioni e serenità e di agire come filo conduttore tra ciò che un grande compositore ha pensato in un particolare momento e l’emozione del pubblico che mi sta davanti. D’altro canto ammiro anche la capacità di essere commosso dalla bellezza che gli altri possono darmi, ecco perché l’amicizia, la capacità di essere onesto, di rispettare, la capacità di essere tollerante, di trasmettere, di ricevere e dare emozione e bellezza, di saperla capire ed esserne il destinatario. Ammiro anche la libertà e la sua conquista.

Come musicista professionista, ammiro anche due cose che ritengo tremendamente necessarie: da un lato il rispetto, la dedizione e l’amore per la musica come forma di bellezza, come modo di vivere, sentire, respirare e trasmettere emozioni. Inoltre, nel musicista ammiro la sua capacità di rispettare il pubblico, cercando di non deluderlo e fargli provare emozioni affinché il tempo ne sia valsa la pena. 

Ammiro finalmente i miei genitori, mia sorella, gli amici che hanno creduto in me e mi hanno incoraggiato a vivere questo mistero magico che si chiama musica.

 Per Margarita Rodríguez, Roma, 10 ottobre 2019.