Julia Nicolau
Laureata in recitazione alla RESAD (Real Escuela Superior de Arte Dramático), ha completato la sua formazione attoriale al Rose Bruford College di Londra, dove ha lavorato con la compagnia di teatro immersivo Secret Cinema, con la compagnia di danza contemporanea Sadler’s Wells e ha fondato Third Arrangement, in tour internazionale con “Pages from the book of ” e con la sua seconda creazione “Kometa.” Ha ricevuto il premio Giovani Creatori della Comunidad de Madrid per il suo assolo di teatro-danza “Desaparecer in tre atti”, con il quale ha rappresentato la Spagna alla Biennale dei Giovani Artisti di San Marino, oggetto dell’intervista che segue.
Nella tua biografia ti presenti come attrice, musicista, ballerina e coreografa. Quale di questi campi ti dà più soddisfazione professionalmente?
Ho la tendenza a mescolare le quattro discipline ed a intraprendere i miei progetti o collaborazioni in tutti i campi in cui lavoro si incontrano. Anche così, la danza e la coreografia, a causa del loro linguaggio universale sono le discipline in cui mi sono particolarmente sviluppata negli ultimi anni.
Sei stato scelta per rappresentare la Spagna alla Biennale Mediterranea 19 Young Artists Biennale a San Marino lo scorso maggio con il pezzo ‘Desaparecer en Tres Actos’ (Scomparire in tre atti). Questo tipo di eventi di solito hanno una cornice istituzionale.
Intendo lo scambio culturale come un pilastro essenziale per il progresso artistico e sociale di qualsiasi comunità o individuo. La Biennale di San Marino mi ha aiutato a conoscere altri artisti spagnoli e internazionali e inoltre a sviluppare legami con altre istituzioni con le quali spero di lavorare nel prossimo futuro. Queste manifestazioni funzionano anche come una vetrina che permette di ricevere proposte da istituzioni non solo di altri paesi ma anche, come è successo a me, di altre regioni della Spagna dove non ho ancora avuto l’opportunità di lavorare.
La Spagna ha prodotto grandi coreografi e ballerini conosciuti e riconosciuti in tutto il mondo, da Antonio Gades a Cortés e Nacho Duato, che hanno sviluppato la loro carriera sia in Spagna che all’estero. Anche la tua formazione è molto internazionale, soprattutto la parte di specializzazione. Quale sistema pensi sia il migliore o in quale paese hai imparato di più?
Non mi sento di poter assegnare la categoria di “migliore” a nessun sistema in particolare. Da ogni luogo ho acquisito strumenti utili e trovato punti di miglioramento.
Sia a Londra che negli Stati Uniti ho trovato grande sostegno e incoraggiamento da parte della facoltà agli studenti per iniziare una carriera professionale. È stato dal Rose Bruford College di Londra che ho accettato di lavorare con Sadler’s Wells e lí abbiamo formato Third Arrangement. Negli USA ho potuto lavorare come parte della mia tesi con Nancy Stark Smith e altri professionisti della Contact Improvisation. D’altra parte, penso che in entrambi i paesi ho sentito che c’era un interesse molto forte nel mondo accademico e che si poteva approfondire gli aspetti duttili e mutevoli delle arti dello spettacolo.
In Spagna, alla Resad e alla Descalzinha danza ho trovato un maggiore interesse nella cooperazione tra studenti e nella creazione di una generazione. Allo stesso tempo, penso che sarebbe interessante che il Resad promuovesse più relazioni professionali tra studenti e compagnie statali, per favorire l’inserimento lavorativo degli artisti che escono da questa istituzione così ben preparati.
Lei alterna progetti artistici con la didattica sociale in un programma di educazione alla violenza di genere. Ci sembra un modo molto interessante di affrontare questi problemi sociali da una base educativa. In cosa consiste questa esperienza e cosa ti ha portato?
Credo che qualsiasi tipo di arte possa essere uno strumento di trasformazione sociale. Le arti dello spettacolo in particolare offrono la possibilità di empatizzare e riflettere su realtà diverse dalla nostra.
I due progetti a cui ho lavorato negli ultimi 6 anni si basano sul concepire le arti performative come uno strumento piuttosto che come un’identità. A partire da esercizi di danza contemporanea formulati per connettersi con il proprio corpo, apriamo un canale di comunicazione e di autoconoscenza su cui poi mettiamo in parole domande come l’identità, i limiti, ecc.
Hai portato “Kometa” in Italia a Palermo, Roma e Milano. Tre punti cardinali molto diversi. Il pubblico italiano è diverso da quello spagnolo, come è stato accolto nel Bel Paese?
In queste tre città abbiamo presentato lo stesso pezzo ‘Kometa’, la seconda produzione di Third Arrangement. In particolare nel Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (Palermo), Teatro di Roma Torlonia (Roma) e Teatro Franco Parenti (Milano). In generale é stato accolto molto bene, ricordo che ad ogni rappresentazione il pubblico si alzava in piedi e applaudiva, ma ricordo che a Palermo fu accolto particolarmente bene perché all’uscita del teatro c’erano diverse persone che volevano congratularsi con noi personalmente.
Kometa’ è uno spettacolo di teatro fisico in cui il poco testo che si svolge sul palco è in polacco e inglese, quindi lo scambio comunicativo con il pubblico avviene principalmente attraverso il movimento. Penso che il pubblico italiano abbia una grande capacità di entrare in risonanza a livello emotivo con l’arte e questa è una cosa che apprezzo molto.
Ti piacerebbe tornare in Italia con un progetto personale o lavorare con una specifica istituzione italiana?
Mi piacerebbe tornare in Italia per quello che ho menzionato nella domanda precedente, penso che sia un paese che condivido a livello artistico e sono sempre stata stupita dalla bellezza delle sue città.
Sono molto interessata alla residenza artistica e alle borse di ricerca offerte dalla Reale Accademia di Spagna a Roma. Lo trovo uno spazio molto stimolante in cui conoscere il lavoro e i modi di creare di altri artisti di diverse discipline.
La compagnia Sosta Palmizi ha un modo di creare che ha attirato la mia attenzione negli ultimi anni, principalmente il loro progetto Round Trip. Un progetto internazionale con il quale e a scelta della direzione artistica, due danzatori under 35 hanno la possibilità di affiancare il coreografo di Pin Docin un’ottica di crescita professionale e artistica con il valore aggiunto di un soggiorno all’estero durante il primo periodo di creazione. L’internazionalizzazione avviene attraverso lo scambio interculturale, la sostenibilità della produzione e il “ritorno” delle abilità e delle competenze acquisite durante lo sviluppo di creazioni fuori dai propri confini territoriali e mentali e del Collettivo Cinetico mi interessa la sua visione delle arti performative e la capacità di produrre spettacoli con un gran numero di ballerini e interpreti.
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Intervista a cura di Patricia Pascual Pérez-Zamora. @pato_perezamora. Agosto 2021. Roma