Javier Quislant, Bilbao, 1984. Javier inizia a studiare composizione e teoria musicale da autodidatta, nonché pianoforte, sassofono e chitarra elettrica presso la scuola di musica locale e il conservatorio. Ha ottenuto il Grado Superior in Composizione a Barcellona e ha continuato la sua formazione presso la Universität für Musik und darstellende Kunst di Graz, con il compositore Beat Furrer, completando con distinzione i gradi di Master of Arts (MA) in Composizione Musicale e in Composizione per Teatro Musicale. Il suo catalogo spazia dalle opere solistiche a quelle per ensemble, orchestrali, corali e da camera. Ha lavorato con i più importanti ensambles europei e ha vinto numerosi premi.
Dal punto di vista del “tessuto di infrastrutture” necessarie alla composizione musicale, come ha trovato l’Italia rispetto alla Spagna e rispetto alle altre realtà europee che conosce?
Penso che entrambi i paesi abbiano in comune il fatto che stanno costruendo un tessuto infrastrutturale sempre più consistente intorno alla composizione musicale contemporanea. Per quanto ne so, in Spagna le iniziative pubbliche e private stanno lavorando considerevolmente per ottenere una maggiore produzione, attività di prime, commissioni e diffusione della musica contemporanea, valorizzando la qualità delle opere e delle esecuzioni. In altre realtà europee, come l’Austria che conosco un po’, la rete di commissioni, il tessuto imprenditoriale e l’infrastruttura intorno alla composizione di musica contemporanea è fortemente radicata nelle principali istituzioni musicali del paese, anche a livello della pubblica amministrazione e nella società.
Credo sia importante notare questa sfumatura, perché significa che tutto ciò che riguarda la musica, in Austria, viene valutato da una prospettiva un po’ diversa da quella del Mediterraneo. C’è un forte impegno a curare e promuovere l’ascolto, fondamentale per la ricezione della musica, sia del repertorio classico che contemporaneo, supportando le creazioni non solo in quantità, ma anche di qualità, curando le premesse delle commissioni.
Lei sostiene che l’esistenza del “pensiero musicale”, qualcosa che è relativamente astratto, si possa concretizzare in “una realtà umanamente riconoscibile”: ci faccia un esempio in merito.
È molto complesso sintetizzare con il linguaggio scritto fatti e realtà che possono essere espressi solo attraverso il suono e la sua esperienza. Il pensiero musicale significa in primis comprendere il suono come fonte di conoscenza: quello che ci porta a percepire e a relazionarci con la realtà da un punto di vista sonoro, musicale, a concretizzare realtà umanamente riconoscibili che possono esistere solo in una prospettiva musicale. Per fare questo, come ho detto prima, è importante incoraggiare la ricezione della musica e l’ascolto, che diventano strumenti che permettono alla musica e al suono di abitarci, di parlarci.
Nel mio caso particolare, il pensiero musicale mi serve per rapportarmi con le domande esistenziali. Attraverso il linguaggio scritto possiamo spiegare gli aspetti tecnici dell’opera, ovvero come è costruita e la sua divisione formale, ma non cosa sia un’opera. Altrimenti, annienteremmo la ragion d’essere della sua esistenza.
Siamo stufi di sentire il termine “destrutturazione”, che si è imposto soprattutto nel mondo gastronomico, dalla frittata di patate al gazpacho, ma nella musica è tutt’altro. Come compositore musicale, lei lo usa nel campo della creazione di musica contemporanea, in particolare quando i pezzi sono basati su testi. Come avviene questo processo?
Il processo di destrutturazione è rilevante perché ci permette, nel caso di un testo, di studiarlo e farlo nostro, di trovare e attribuirgli una sensibilità e poi lavorarci da un punto di vista musicale, decostruendolo, scomponendolo. Questo serve per studiarne le qualità e diversità sonore, per esempio delle parole che lo compongono, delle sillabe di queste parole, dei fonemi. Poter studiare un testo in profondità è la via per trovarne il significato musicale. Non si tratta di modificare il messaggio del testo, ma di un lavoro meticoloso che, nel mio caso, mira a evitare la tautologia, cioè a mettere in musica un testo, “musicandone” il significato.
Quando seleziono i testi è perché mi interessa il messaggio che trasmettono. Ma questo non implica necessariamente che io voglia che il testo o il suo messaggio sia compreso nell’opera come sarebbe compreso quando viene letto. Voglio che sia compreso da un punto di vista musicale e per questo devo lavorare da un punto di vista musicale.
Ci racconti qualche esperienza che ha avuto l’opportunità di fare, vedere o sentire in Italia che la ha segnata come compositore e che non sarebbe possibile sperimentare fuori dal Belpaese.
In particolare mi riferisco a Roma, perché per motivi di lavoro non ho avuto la possibilità di viaggiare altrove.
Ho avuto la sensazione di vivere un miscuglio di tempi e momenti che abitano la città: la monumentalità delle rovine, la luminosità della città; il rimanere solo, dentro la cripta del Tempietto del Bramante; poter vedere la luna del pomeriggio, da qualsiasi punto della città, ma in particolare dall’ottava collina, è stato affascinante.
D’altra parte, negli aspetti musicali più tecnici, mi ha emozionato visitare gli archivi di alcune chiese, come la Chiesa Nazionale Spagnola, potendo accedere a copie di opere le cui partiture risalgono al XIV secolo.
Come è stata la sua esperienza all’Accademia di Spagna, ambiente diplomatico e istituzionale che quest’anno ha visto tante visite di alto livello, come quella del presidente Pedro Sanchez, del presidente del Congresso dei Deputati, di Meritxell Batet e del ministro della Cultura? È stato utile scendere dalla sua Torre d’Avorio per espandere reti che solitamente non sono molto accessibili, o è stato distratto troppo dal suo lavoro di compositore?
L’esperienza è stata molto gratificante e soddisfacente: penso che sia stata molto utile per creare e consolidare alcune alleanze. D’altra parte, è vero che questi impegni richiedono tempo e attenzione speciali, protocolli, sicurezza, ecc., che inevitabilmente portano a doversi allontanare un po’ dalla continuità e dalla concentrazione richieste nel lavoro quotidiano, ma i risultati sono molto positivi.
Dopo 10 anni passati in Austria e dopo sei mesi a Roma con una borsa di studio dell’Accademia di Spagna, lei resta la stessa persona? Questa esperienza ha cambiato il suo modo di essere in qualche modo?
Sono due esperienze diverse, ma entrambe hanno in comune il fatto di avermi cambiato profondamente. In particolare, il soggiorno presso la Reale Accademia di Spagna a Roma mi ha aiutato ad approfondire la mia conoscenza interiore e mi ha fornito esperienze a livello umano e professionale da cui traggo un risultato molto positivo e assolutamente di valore.
Il suo progetto per l’Accademia si concretizzerà in un concerto, che i svolgerà il 7 dicembre. Cosa ci sarà di nuovo, cosa ci sarà di speciale?
Sinuoso tiempo è un ciclo per quartetto d’archi che ho composto durante i mesi all’Accademia. In particolare, il 7 dicembre, il quartetto d’archi dell’ensemble austriaco Klangforum Wien presenterà in anteprima i primi 3 lavori del ciclo, e ascolteremo anche il Secondo Quartetto d’archi del compositore austriaco (svizzero di nascita) Beat Furrer, che è stato mio insegnante durante i miei anni di studio in Austria.
Comporre per quartetto d’archi è sempre una sfida per un compositore: si tratta di una formazione con forti radici nella tradizione musicale e con un notevole volume di letteratura composta, ma alla quale, secondo me, si possono ancora porre alcune domande.
Ho proposto questo progetto per la borsa di studio della Reale Accademia di Spagna di Roma come un lavoro altamente personale e singolare (comporre “cicli di opere” è un luogo comune, ma ci sono tanti compositori che si avvicinano a questo formato per questo particolare ensemble) al fine di esplorare, attraverso le qualità tecniche e timbriche degli strumenti ad arco, un approccio personale al suono e al suo universo interno. Risiedere come artista a Roma e nella Accademia implica un dialogo, che unisce elementi per stabilire la relazione tra ciò che vedo e ciò su cui voglio lavorare musicalmente, cioè la metafora artistica, alcuni elementi presenti nella Accademia di Spagna (la denominazione del Mons aureo, l’opus reticulatum delle vestigia romane del II secolo a.C. C.) e anche nella città di Roma (come lo studio dell’opera del compositore Giacinto Scelsi, una delle principali influenze delle avanguardie musicali del XX e XXI secolo).
Speriamo che sia un buon trampolino di lancio per ottenere nuovi progetti in Italia e per potersi godere il suo lavoro e la sua persona qui. C’è qualche attività in vista che può anticiparci?
Grazie mille, lo spero, perché Roma è una città con una vita culturale molto significativa.
Il lavoro coinvolto nel progetto a Roma è stato molto impegnativo e ha occupato, non a caso, la maggior parte del tempo della Fellowship alla Accademia di Spagna. Tuttavia, ho avuto l’opportunità di stabilire contatti e alleanze con alcuni dei principali agenti musicali e culturali della città e del paese e sono emerse alcune interessanti prospettive future. Ci sono quindi progetti in vista, ma è sempre delicato parlare di attività che sono in una fase costitutiva. Altri progetti professionali si sono consolidati, come, ad esempio, far parte della giuria del Concorso di composizione Franco Evangelisti 2021.
La sua musica può essere ascoltata su: https://soundcloud.com/javier-quislant , Instagram: @javierquislant
Intervista a cura di Patricia Pascual Pérez-Zamora, @pato_perezamora. Roma, Novembre 2021