Elastic Group of Artistic Research: Alexandro Ladaga e Silvia Manteiga

Alexandro Ladaga nato a Roma, laureato in Filosofia con indirizzo Estetica e Silvia Manteiga spagnola di Santiago di Compostela, laureata in Lettere con indirizzo Cultural Studies esperta in semiotica dei new media lavorano con i media digitali per la creazione di installazioni Site Specific e Public Art capaci di unire i linguaggi della tecnologia più recente al pensiero filosofico. Hanno fondato nel 1999 ELASTIC Group of Artistic Research portando la loro arte in tutto il mondo. Alexandro e Silvia, coppia nell’arte e nella vita sono un chiaro esempio di artisti bilaterali: Spagna e Italia si uniscono in questo singolare binomio.

Ci incontriamo in una mattina quasi primaverile di marzo, prima dell’ennesimo lockdown della capitale. Alexandro mi spiega con entusiasmo ogni loro progetto in cui sono coinvolte tante discipline. Silvia lo guarda, ascolta, indica e aggiunge sfumature e aneddoti, tanti aneddoti… Il modo di comunicare tra di loro è pieno di complicità e il loro modo di comunicarsi con il mondo è in perfetta sintonia con quello che chiamiamo duo o collettivo, dove la simbiosi, lo scambio e il progetto di vita corre parallelo ai loro progetti artistici coraggiosi, innovativi, trasversali… Ogni progetto, ogni “opera” è un mondo con molti mondi, quindi oltre a leggere l’intervista vi invito a fare un giro e a perdervi nei loro social network e nella pagina degli artisti.

Cominciamo con una domanda banale e leggera. Nel 1999 avete fondato Elastic Group of Artistic Research. Questo binomio è nato per amore o per l’amore all’arte?

Il 1999 era un anno di fermento, di attesa per il cambio di millennio, un anno epocale. Culturalmente ci si aspettava un grande passaggio dall’analogico al digitale, una vera e propria rivoluzione tecnologica. Tempi maturi per fondere pensieri antichi come la filosofia e la filologia (il nostro background accademico) con i nuovi mezzi, umanesimo e macchina, dall’occhio fisico all’occhio elettronico. Se Buñuel, Dalí e García Lorca diedero un “taglio all’occhio” e fecero nascere il surrealismo cinematografico, nel mondo video il taglio è stato proprio il passaggio al digitale, una vera metamorfosi, e proprio tutto questo è successo in quell’anno.

Così in questo scenario, in un luogo sacro dell’arte, la galleria Sala 1, il più antico ente no profit per l’arte contemporanea sperimentale in Italia, situato in un’antica ex-basilica alle spalle del Santuario della Scala Santa, ci siamo incontrati ad una festa di musica elettronica! Che miglior inizio per un sodalizio di arte e vita condivisa? E la cosa curiosa è che abbiamo scoperto di aver amici in comune ma le nostre strade non si erano mai incrociate fino a quella sera…destino?

Subito la nostra curiosità intellettuale ci ha accomunati, e dalla filosofia siamo passati alla “videosofia” ed a fare dall’arte una vita e dalla vita un’arte. Per noi tutto è permeato di arte e  viviamo la vita come processo creativo. Per questo il nostro lavoro è poliedrico, una ricerca costante che si espande e dialoga con il fruitore finale che è lo spettatore. L’arte è fondamentalmente comunicazione, e noi abbiamo voluto “comunicare” quel cambiamento, cioè “condividere”.

Tra il dire e il fare, tra la parola e l’azione -dopo aver dato il nome al “gruppo”- ecco il momento in cui dovevamo concretizzare, digitalmente, le idee artistiche in opere d’arte: dare “corpo” alle idee, anzi dargli un’immagine. E parliamo letteralmente di corpo perché proprio da lì è nata la nostra ricerca: mani, occhi, frammenti di corpo, pelle, che via via si estraniavano sempre più dal primordiale corpo umano sino ad arrivare al corpo macchina nelle video performances ed al corpo espanso nelle architetture vive e nel corpo città.

Con questi primi lavori siamo già entrati nella scena internazionale con numerosissime partecipazioni in festival e mostre in tutto il mondo, anche perché i nostri video dall’inizio  riuscivano a “toccare” un pubblico cosmopolita. E questo anche forse perché noi siamo sempre stati dei viaggiatori, degli esploratori, dei grandi curiosi. Ed in tutte le nostre avventure abbiamo voluto entrare in sintonia con i luoghi e con le persone, “adattarci” appunto all’ambiente circostante.

Una delle vostre installazioni più note di arte pubblica é “The Night Watchmen”. Realizzata in collaborazione con l’Accademia di Spagna a Roma e con l’Ufficio di Cultura e Scienza dell’Ambasciata di Spagna in Italia, questa video installazione che si ispira ai personaggi di Pirandello si svolge in una location “molto spagnola” – il Tempietto del Bramante-. Penso che non sia stata casuale la scelta di questo monumento. Siete riusciti a penetrare nell’identità storica della città di Roma e a farla arrivare ad un pubblico contemporaneo. Vi domando, come artisti, produttori e creatori di quest’opera: era il pubblico romano preparato in quel momento 2006?

The Night Watchmen è stato un lavoro monumentale che ha unito la cultura spagnola ed italiana nell’emblematico Tempietto del Bramante, il primo esempio dell’architettura rinascimentale nata proprio in suolo spagnolo, però a Roma! Un grande onore essere stati scelti fra una rosa di artisti internazionali per poter operare un nuovo rinascimento digitale. Trasformare l’architettura del passato in un’architettura viva inglobando il pubblico.

La sfida era ardua, le aspettative erano enormi, insomma, un’impresa cavalleresca! Ma ne è valsa sicuramente la pena. Il pubblico romano veniva attratto sul monte Gianicolo (monte sacro per gli antichi romani come anche per i cristiani, per essere il luogo del martirio di San Pietro) da una colonna di luce visibile da tutta Roma ed un’intermittente luminoso messaggio cifrato morse trasmesso dalla torre più alta dell’Accademia di Spagna. La Piazza di San Pietro in Montorio  già accoglieva il pubblico in un’atmosfera luminosa-infrared. Una volta entrati nella vera e propria istallazione performativa del Tempietto gli spettatori diventavano, anch’essi video creature notturne, come le immagini delle video sibille che “apparivano” fantasmagoricamente e si rivelavano tra le colonne.

Per ritornare alla domanda, il pubblico romano era pronto e accolse il Public Video Art con entusiasmo. Il nostro pubblico ci ha sempre regalato dei feedback di grande stimolo. E’ sempre stato un pubblico molto partecipativo. Per noi l’opera la fa lo spettatore. Lo spettatore è un costruttore di significati. L’opera deve essere  uno spunto di riflessione per lo spettatore, senza il quale l’opera non esiste.

The Night Watchmen è stato il primo intervento di arte contemporanea su questa pietra miliare dell’architettura del passato. La sinergia e il dialogo che abbiamo avuto con le istituzioni spagnole e italiane coinvolte in questo monumentale progetto è stata impeccabile. Sono stati coinvolti l’Accademia di Spagna con la Direttrice Rosario Otegui Pascual e l’Istituto Italo Latinoamericano con Irma Arestizabal, la Oficina de Cultura de la Embajada de España, el Ministerio de Asuntos Exteriores, la Cooperacion Cultural Exterior, el Ayuntamiento de Roma para  La Notte Bianca, la Sovraintendenza ai Beni Culturali ed il risultato è stato all’altezza delle aspettative. Questo Public Video Art è diventato un case study di come l’immagine elettronica può ribaltare lo spazio rinascimentale e rappresentarlo come spazio fluido, elastico, in continuo movimento.  E anni dopo ci hanno commissionato A.L.I.C.E’S EYE per Arte Fiera OFF. E in questa occasione abbiamo fatto un intervento artistico sulle quattro facciate del chiostro di  Palazzo Bevilacqua Ariosti, il palazzo più emblematico del rinascimento a Bologna dove lo spazio geometrico rinascimentale veniva ribaltato da una griglia prospettica e ottica che portava ad un viaggio mentale là dove l’architettura diventa concetto, pensiero matematico, fuga fisica. E lo stesso anno abbiamo realizzato per la Milan Week Design il Public Art ELASTIC Space of Energy Relations. Mentre anni dopo abbiamo rappresentato la Spagna alla Mostra Trilaterale Spagna/Francia/Italia(Di)Sfide Contemporanee  nel bellissimo castello rinascimentale di Carlos V a Barletta che oggi è diventato Museo Civico.

Per creare le vostre performances utilizzate elementi come il video, l’immagine e la musica. Le vostre opere si avvalgono spesso delle nuove tecnologie in continua evoluzione, in che modo è migliorato il “prodotto artistico” lungo gli anni?

Più che miglioramento, la continua evoluzione tecnologica è un continuo adattarsi alle nuove condizioni dell’uomo contemporaneo nella sua dimensione di informazione e comunicazione smaterializzata. Praticamente dalla pesantezza dell’architettura fisica si è passati all’architettura della rete. Quindi dalle macchine video si è passati alla tecnologia smart… piccola e leggera, insomma portatile. Una tecnologia che ti permette una trasmissione immediata nell’infosfera come abbiamo analizzato nella nostra installazione Amniotic City per la XIV Quadriennale di Roma. Anche in questo settore “adattativo” siamo stati pionieri: nel lontano 2006, già facevamo vernissage in telepresenza! (risate) addirittura con la micro telecamerina messa dentro un terrario con le “cucarachas”, simbolo della sopravvivenza all’olocausto radioattivo.

Le vostre video performances hanno girato il mondo (New York, Oporto, Hong Kong, Melbourne, Santiago del Cile, Barcellona, Venezia). L’interazione del pubblico varia con la geografia, elemento fondamentale della performance e del vostro tipo di installazioni?

Grazie di averci fatto questa stimolante domanda. Assolutamente sì. Il pubblico dell’Australia e del Giappone o della Cina è molto diverso dal pubblico dei paesi latini o dei paesi anglosassoni e nordici. Però abbiamo notato che il nostro linguaggio artistico riesce a “toccare” ed unire le differenti sensibilità;  infatti siamo stati scelti come rappresentanti per l’Italia e Spagna in numerose biennali e mostre internazionali per questa capacità di coinvolgimento dello spettatore. Per La Biennale di Venezia, ad esempio, abbiamo realizzato Video Intimacy, una video installazione-performance che coinvolgeva in modo attivo ed intimo il pubblico, ed abbiamo anche partecipato alla Biennale di New Media di Rijeka, a La Bienal de La Habana e alla mostra Moving Time a New York come rappresentanti di Italia/Spagna. E quest’ultima mostra è per noi  particolare motivo di orgoglio perché voluta personalmente da Nam June Paik, il padre della videoarte! Essere stati scelti proprio da lui ed essere coinvolti dal Korean Cultural Center con altri 30 rappresentati dei propri paesi è un esempio di come sia possibile creare una contaminazione di pubblico così diverso geograficamente ma così unito dallo sguardo dell’arte.

Stiamo assistendo a una chiara tendenza del site specific, la street art e soprattutto la Public Art indirizzate verso la valorizzazione del dialogo tra arte e architettura. Pensate che una delle conseguenze del Covid sarà l’accelerazione dell’accettazione del “site-art” e delle opere pubbliche come parte essenziale della città, una porta aperta al dialogo con i cittadini? La creazione di esperienze artistiche in spazi aperti e pubblici è ormai una necessità. Sono tempi nuovi?

Speriamo di sì!  Noi abbiamo fatto tutto questo quando ancora nessuno lo faceva;  abbiamo aperto la strada. Infatti veniamo studiati come pionieri della Public Video Art, e ancora oggi siamo tra i pochi artisti  italiani/spagnoli invitati in contesti internazionali per interventi artistici e teorici sulle nuove vie dell’arte fuori dal museo, con progetti come Mapping the city, Amniotic city, Subliminal Wien, Metaphoric BCN. Interventi urbani dove la città diventa scenario. Con il cambiamento del pensiero contemporaneo nell’era del distanziamento sociale questa necessità si è fatta più urgente e ci auguriamo che le istituzioni museali  diventino meno chiuse e più aperte all’esteriorizzazione dell’arte, perché l’arte deve essere sempre pubblica.

Come avete gestito il lockdown come artisti? E per questa terza ondata che progetti avete?

Il lockdown, fortunatamente, è capitato in un momento in cui volevamo riorganizzare e mettere in ordine l’archivio di tutto un ventennio di ricerca artistica. Ci ha permesso di fermarci un attimo, di dimenticare la frenesia del mondo moderno per concentrarci nel frutto del nostro universo artistico, il nostro mondo interiore. Attualmente siamo impegnati nella realizzazione del Catalogo Generale di ELASTIC Group of Artistic Research da abbinare a una retrospettiva su questi 20 anni di attività artistica, che ci piacerebbe far girare nel mondo. Magari con la collaborazione della rete culturale dell’Ambasciata di Spagna!

Sarebbe bello lanciare una nuova sfida per una nuova  sinergia Italia/Spagna in questo campo.

Il vostro binomio è un equilibrio bilaterale Spagna-Italia? Voglio dire: Velázquez o Caravaggio? Pulpo a la Feria o Puntarelle? 

Velázquezper l’uso dello specchio, dei riflessi, i giochi di prospettiva, l’autore dentro l’opera… e anche per l’autoritratto The infinite window Inside the Mirror che abbiamo esposto alla GNAM, la Galleria Nazionale d’Arte di Roma; Caravaggio per il “tenebrismo”, il chiaroscuro, il buio primordiale dei nostri lavori girati in infrared. Ma anche Leonardo e Goya. Leonardo per la donna vitruviana di Amniotic City, l’uomo macchina di Video Solo, la multidisciplinarietà, il mischiare tutte le arti; Goya per i mostri, la deformazione, gli incubi, “el sueño de la razón  produce monstruos” di T-R-A-U-M-A , installazione commissionata dal Museum Quartier di Vienna, la città della psicanalisi. Gastronomicamente parlando, amiamo il pulpo a la feria, un classico galego internazionale! E anche le puntarelle con le alici del Cantabrico! Un mix italo/spagnolo.  Ma l’arte la vediamo  come una paella, dove ci puoi mettere di tutto, mescolare,  e creare un’opera geniale! (risate)

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Roma, Marzo 2021. Intervista a cura di Patricia Pascual Pérez-Zamora, @patoperezamora. Photo: Gianmaria Gava