Irene Clémentine dedita alla creazione artistica, al design della moda e alla ricerca storica sul tessile. Si specializza in datazione di tessuto antico, identificazione e classificazione di capi pre-industriali e vestiti civili dell’inizio del Novecento. Collabora con numerose case editrici di moda come stilista e direttrice artistica.
Quando incontro per la prima volta Clementine a Roma capisco perfettamente che lei è una di quelle persone che non conoscono il confine tra la vita personale e la professionale. Già piace. In Italia si dice: “parla come mangi”, forse un po’ grossolano per definire l’eleganza di questa donna, fuori dagli schemi, da un’estetica coinvolgente che lei reinterpreta ogni volta, ogni giorno.
Corsetti, sete, rose, fiori, make up, rossetti, volants, luci, bambole, calze, capelli….popolano l’universo estetico di Clementine che unisce di forma naturale gli spunti barocchi con l’attualità quotidiana.
Lei definisce tutta un’estetica basata sulla ricerca continua e non minimalista del “costume” come maschera, attirandomi particolarmente l’attenzione sulla sua capacità di analisi, di sapere dove si è, da dove si viene, cosa ha imparato e dove vuole arrivare. Con la saggezza che solo una persona che ha vissuto nella curiosità continua può avere, inventando anche un universo parallelo. Signori e Signore: Benvenuti nel mondo della “La Villa Clementine”. https://www.instagram.com/lavillaclementine/
Cominciamo con prima del “annus horribilis” 2019. Roma. Arrivi alla capitale con una borsa di studio alla RAER sviluppando un progetto in cui l’artigianato spagnolo dialoga con l’italiano. Raccontaci la genesi di questo progetto che purtroppo non si è potuto realizzare per la emergenza sanitaria. Facciamo finta che non sia accaduto e che siamo tutti lì dove tu vuoi…
Sviluppo l’esposizione del mio progetto tessile e scenografico in uno spazio enigmatico della città di Roma; come se fosse un “tableau vivant ” di una festa aulica immaginaria, di un banchetto illusorio che viene rappresentato e passa lontano davanti agli occhi attoniti dello spettatore. Una sfilata festiva, un baccanale barocco, un misto di alcuni tipi teatrali che trovano più senso nel discorso narrativo di questo progetto. La staticità della scena, più tipica del pittorico o del fotografico, rappresenta il permanente, l’immobile.
Siamo testimoni di uno spettacolo di personaggi fuori dal tempo, eterni e allo stesso tempo effimeri, che ci comunicano il loro messaggio attraverso i loro abiti, attraverso il loro look di base: colori, tessuti, forme. Propongo un ritorno all’artificio del gesto come informazione, suggestione, sfida, all’emozione della rivelazione divina che si allontana dalla natura, all’invenzione e alla convenzione come scusa per cercare l’origine. La mia proposta è di creare un oggetto-abbigliamento che dia il potere di trasformazione a chi lo indossa e gli permetta di giocare con i ruoli stabiliti e di uscire dalla banalità quotidiana, rompendo la rigidità stabilita dalla società.
Ma non è la tua prima volta a Roma o in Italia, anzi è affascinante la tua esperienza a Firenze dove sei riuscita ad entrare nelle “caste”, nei salotti dei collezionisti di tessuti con archivi importantissimi.
I miei primi contatti con il mondo dell’antiquariato tessile, della storia dell’arte e dell’amore sono stati in Italia, un luogo che mi ha nutrito di stimoli e conoscenze. La città di Firenze è stata la prima ad offrirmi la cornice perfetta per immergermi completamente nel mondo dell’antiquariato tessile e della storia dell’abbigliamento. Lì ho avuto la fortuna di incontrare persone che hanno cambiato il corso della mia carriera professionale e che mi hanno ispirata a creare il mio archivio, ad appassionarmi per la ricerca dei capi, ad imparare a leggerli, a datarli correttamente e ad immergermi in un universo di fantasia e curiosità. A Firenze ho avuto anche la fortuna di incontrare persone che mi hanno introdotto nel mondo dell’heritage (pezzi anteriori agli anni sessanta e alla produzione industriale), e che mi hanno insegnato a rispettare la professione.
Credo che sia stato allora che hai iniziato il tuo archivio personale. Parlaci delle “trippe”, di come hai imparato a riconoscere un pezzo, a catalogarlo, a capire a “cosa serve” detto volgarmente. Perché Il tuo lavoro ha diverse sfaccettature, e per chi non conosce bene questo campo possono sembrare ambigue, invece, sono molto precise. A volte lavori come stilista e altre in un campo poco conosciuto e che a me interessa tanto e che vorrei che condividessi con noi: è la ricerca su commissione. (Ghost buyer)
Sì, da questo momento ho iniziato a creare il mio proprio archivio. Un archivio molto personale, in cui non sono stata rigorosamente presa dalla componente storica, ma più da quei particolari dettagli che hanno suscitato il mio interesse. Sono una persona estremamente estetica e visiva, mi piace creare il mio film d’autore. Con i miei vestiti. Inoltre, quando mi conosci e vedi la mia collezione ti rendi conto che descrive perfettamente il mio stile, la mia personalità e molti dei riferimenti che utilizzo.
Inoltre, da antichi cartamodelli ho tirato fuori piccole collezioni di abiti disegnati da me. La modifica di questi cartamodelli è spesso un altro output che si può dare all’archivio dei costumi.
Da qui la figura del “ghost buyer”. Anche se non é molto conosciuta in Spagna, in altri paesi è conosciuto e i grandi brands hanno persone che si dedicano alla caccia e all’acquisto di pezzi speciali e/o vecchi che serviranno come ispirazione e spesso come base per le nuove collezioni.
Io personalmente uso il mio archivio come un catalogo di abbigliamento che affitto ad altri professionisti del settore, come pezzi per editoriali di moda, videoclip, pubblicità, etc. Se inoltre sei bravo a risalire alle referenze, è possibile che altri stilisti si rivolgono a te per generare una banca di immagini da una determinata linea di ricerca per le loro collezioni. Quello che si conosce come un “Fashion Researcher”
Creare una collezione come designer non ti interessa, ma fai delle piccole “capsule collection” atemporali che hanno un perché e un senso dentro il tuo mondo e che credo che adesso in questo momento di stop alla “moda pronta” potrebbe essere un focus importante di attenzione.
Sì, come dicevo, una delle cose che mi piace di più è la reinterpretazione di vecchi cartamodelli. A volte lo faccio io da sola e a volte, quando non raggiungo il livello tecnico richiesto, lavoro con un atelier di cucito. A partire dei pezzi che compongono il mio archivio e che trovo spettacolari come pezzi unici, sviluppo una piccola “capsule collection” dove interpreto o copio direttamente il vecchio cartamodello e creo un nuovo pezzo, più accessibile e con la possibilità di poterlo riprodurre su misura per i miei clienti. In realtà, non si tratta di collezioni in quanto tali, ma piuttosto di edizioni limitate di un capo d’abbigliamento.
New York, Berlino, Firenze, Roma…. Dici che la Spagna è il luogo dove hai lavorato di meno e dove il tuo lavoro è stato meno valorizzato. Noi spagnoli…dovremmo imparare di più dai nostri vicini su questo particolare argomento? Cosa ci manca? Sensibilità? Cultura?
Credo che per motivi sociali e culturali la Spagna sia forse il paese che finora ha meno apprezzato il mio lavoro. Ho sempre notato che in Spagna ci sono difficoltà in relazione con l’identità del paese. Quando ho voluto collegare l’artigianato italiano a quello spagnolo, devo confessare che per me è stato difficile trovare un artigianato tessile accessibile in Spagna. Tuttavia, in un paese come l’Italia, la sartoria fa parte dell’identità di cui gli italiani sono così orgogliosi. La qualità tessile, una certa esclusività nell’acquisizione del prodotto e originalità e la ricerca di uno stile più personale sono per me valori fondamentali che in Spagna trovo molto più sfumati, se non inesistenti in molte occasioni. Sono consapevole che i miei pezzi hanno un’importante componente barocca, non sono facili da integrare in un guardaroba quotidiano. Bisogna avere il desiderio di vestirsi, giocare e fantasticare su altre identità. Bisogna voler sentirsi in un certo modo e di avere il coraggio di esprimerlo pubblicamente. Per me, i vestiti è l’espressione materiale e diretta dei miei desideri più romantici. Da qui il mio rapporto speciale con Roma, una città così decadente, così tradizionale, antiquata e caotica ma che all’improvviso è diventata lo scenario anacronistico perfetto per le mie creazioni.
L’arte concettuale, di cui non metto in dubbio il valore, a volte penso si dimentichi dell’estetica e per questo mi sono sentita molto vicina al tuo pensiero, un’artista che dice di non partire dal concetto: tu parti dall’estetica che è quello che a te interessa, non dal concetto.
L’arte dovrebbe essere attraente al primo colpo di vista. Ecco come la vedo io. E la bellezza è il suo ultimo fine. Questo è ciò che cerco nei miei pezzi, nelle mie scenografie e nelle visioni che loro generano. Lavoro principalmente dalla parte visiva, da quello che ti affascina, che ti stravolge e poi sviluppo concetti che normalmente derivano da riferimenti che hanno generato quelle immagini precedenti.
Credo che hai in mente un progetto che ancora non si può svelare a Roma per il 2021, sono certa che andrà avanti anche nonostante questo periodo di grande incertezza, ma vorremmo conoscere il tuo futuro a mezzo e a lungo termine.
Entro il 2021 vorrei allestire un’opera pittorica ricreandola a modo “pittura viva”” in un palazzo di Roma che fa da cornice. Un palazzo in cui possa essere adatto all’estetica barocca delle mie creazioni. Sono ugualmente attratta dall’idea che le mie opere siano esposte come oggetti d’arte. Vorrei creare diversi pezzi di costumi, probabilmente copricapi o maschere inventati, in modo che possano essere esposti come sculture misteriose.
A lungo termine mi piacerebbe lavorare in progetti di costumi per l’opera. I costumi sono importanti quanto lo scenario in cui vengono utilizzati. Il potere artistico e visivo dell’opera lirica racchiude perfettamente l’universo teatrale delle mie fantasie.
Patricia Pascual Pérez-Zamora. Roma, Novembre 2020.